Mediterraneo, allarme appena lanciato | La colpa è dell’uomo: una pattumiera galleggiante

Illustrazione di plastica in mare (Canva FOTO) - marinecue.it

Illustrazione di plastica in mare (Canva FOTO) - marinecue.it

Purtroppo la situazione è insostenibile, e siamo davanti ad una vera e propria pattumiera marina galleggiante. Cosa possiamo fare?

La spazzatura in mare è uno dei problemi ambientali più gravi e diffusi del nostro tempo. Ogni anno, milioni di tonnellate di rifiuti finiscono negli oceani, la maggior parte dei quali è plastica. Galleggiano, si depositano sui fondali o si frammentano in microplastiche, invisibili ma pericolose.

Le principali fonti sono attività umane: pesca, trasporti marittimi, scarichi urbani e abbandono dei rifiuti sulle coste. Ma anche le città lontane dal mare, attraverso i fiumi, contribuiscono a questo inquinamento silenzioso e persistente.

L’impatto sulla fauna marina è devastante: tartarughe, uccelli, pesci e cetacei ingeriscono o restano intrappolati nei rifiuti. Ma le conseguenze toccano anche l’uomo, perché queste sostanze entrano nella catena alimentare.

Affrontare il problema richiede azioni globali e locali: ridurre l’uso della plastica, migliorare la gestione dei rifiuti, ma anche promuovere una cultura del rispetto per l’ambiente marino. Il mare non è una discarica, ma un ecosistema da proteggere.

Il fondo del mare non è più quello di una volta

Non servono viaggi in mari tropicali per rendersi conto della gravità del problema: basta guardare in casa nostra. Proprio nel Mediterraneo, e più precisamente nella Fossa Calipso del Mar Ionio, che è il punto più profondo del bacino, è stata fatta una scoperta che lascia senza parole. A oltre 5.100 metri di profondità, dove regna il buio e la pressione è estrema, i ricercatori hanno trovato qualcosa che lì sotto non dovrebbe proprio starci (Fonte: Passione Astronomia).

Si tratta di una vera e propria discarica sommersa: oltre 26.700 rifiuti per chilometro quadrato, come riportato da Passione Astronomia. E non parliamo solo di plastica, ma anche di vetro, metallo, carta, oggetti sparsi che il mare ha trasportato e fatto precipitare negli abissi. Un carico silenzioso, che viaggia seguendo le correnti fino a infilarsi nei canyon sottomarini, dove la circolazione dell’acqua è così lenta da trasformare quei luoghi in trappole permanenti per i rifiuti.

Illustrazione di una pattumiera marina (Canva FOTO) - marinecue.it
Illustrazione di una pattumiera marina (Canva FOTO) – marinecue.it

Quando anche gli abissi soffocano

I risultati, purtroppo poco incoraggianti, sono stati pubblicati sulla rivista Marine Pollution Bulletin. Quello che colpisce è che questi rifiuti non si fermano dove li immaginiamo di solito. Non galleggiano solo in superficie né si accumulano solo sulle spiagge. Finiscono giù, nei punti più remoti e difficili da raggiungere. Ma quei fondali sono habitat fragili, spesso popolati da creature rare o poco conosciute, che finiscono per convivere, loro malgrado, con bottiglie, buste e imballaggi.

Secondo gli scienziati, circa l’80% dei rifiuti marini è composto da plastica, che una volta finita laggiù può restare per secoli. E non si tratta di un problema solo “nostro”: il fenomeno è globale e in crescita. Ripulire quelle profondità è una sfida enorme, quasi fuori portata. Ma prevenire l’inquinamento, limitando l’ingresso di rifiuti nel mare già sulla terraferma, è qualcosa di fattibile.