Il carbonio negli abissi: chi lo fissa davvero?

Il carbonio negli abissi: chi lo fissa davvero?

Un recente studio guidato dall’Università della California-Santa Barbara rivela come avviene la fissazione del carbonio nel buio degli abissi oceanici.

La fissazione del carbonio avviene grazie a comunità microbiche insospettabili, capovolgendo decenni di convinzioni sulla dinamica del ciclo del carbonio nelle profondità marine.

Una scoperta che ridefinisce il ruolo del mare profondo nel ciclo globale del carbonio

Nel vasto sistema climatico terrestre, l’oceano profondo svolge un ruolo cruciale come serbatoio di carbonio. Circa un terzo della CO₂ emessa dalle attività umane viene assorbito dagli oceani, contribuendo a moderare l’aumento delle temperature globali. Tuttavia, non tutto il carbonio che finisce negli oceani resta in superficie: una frazione significativa penetra in profondità, dove può restare intrappolata per secoli o millenni.

Da tempo si riteneva che la fissazione del carbonio nelle zone buie dell’oceano fosse dovuta principalmente agli archaea ossidanti dell’ammoniaca, microrganismi capaci di utilizzare l’energia chimica derivata dall’ammoniaca per trasformare il carbonio inorganico disciolto in composti organici. Ma ora un nuovo studio, pubblicato su Nature Geoscience, offre un quadro radicalmente diverso.

Il mistero della fissazione del carbonio nelle profondità

La professoressa Alyson Santoro, microbiologa oceanografica dell’UC Santa Barbara, e il suo team hanno indagato per oltre un decennio un apparente squilibrio nei bilanci energetici delle acque profonde. I dati raccolti indicavano livelli di fissazione del carbonio superiori a quelli che gli archaea autotrofi ossidanti dell’ammoniaca avrebbero potuto sostenere in base alla quantità di energia disponibile dal ciclo dell’azoto.

In termini pratici: le stime teoriche basate sul metabolismo noto degli archaea non erano compatibili con le quantità reali di carbonio fissato misurate in mare aperto.

Esperimenti mirati: la svolta con l’inibizione selettiva

Per chiarire la questione, la ricercatrice Barbara Bayer ha sviluppato un approccio sperimentale mirato. Il team ha applicato un inibitore specifico, il fenilacetilene, capace di bloccare selettivamente l’attività degli ossidanti dell’ammoniaca nelle acque profonde, senza interferire con altri processi microbici.

L’aspettativa era che, inibendo questi archaea, la fissazione del carbonio inorganico crollasse drasticamente. Ma i risultati hanno mostrato tutt’altro: anche con gli ossidanti bloccati, la quantità di carbonio fissato si è ridotta di poco.

Chi fissa davvero il carbonio negli abissi?

Il risultato ha portato a una sorprendente conclusione: altri microrganismi, non autotrofi nel senso classico, contribuiscono in misura sostanziale alla fissazione del carbonio nella colonna d’acqua profonda. I principali indiziati? I microrganismi eterotrofi.

Questi batteri e archaea eterotrofi, noti per nutrirsi di materiale organico in decomposizione, sembrano anche in grado di assimilare carbonio inorganico e utilizzarlo per produrre nuove biomasse. In altre parole, fissano carbonio pur non essendo fotosintetici o chemioautotrofi classici.

Un processo metabolico ibrido

Questa nuova ipotesi suggerisce l’esistenza di strategie metaboliche ibride nei microrganismi profondi: pur nutrendosi di materiale organico, integrano carbonio inorganico nel proprio metabolismo. Si tratta di una rivoluzione concettuale nel modo in cui viene compresa la base del reticolo trofico degli abissi.

La scoperta ha implicazioni notevoli per la biogeochimica marina:

  • Ridefinisce il ruolo degli eterotrofi nel ciclo del carbonio;
  • Introducono una nuova classe funzionale di mixotrofi profondi (organismi capaci di combinare strategie metaboliche);
  • Modificano i modelli previsionali relativi alla capacità dell’oceano di sequestrare la CO₂ a lungo termine.

Un equilibrio biogeochimico molto più complesso

La comprensione del ciclo del carbonio negli abissi è sempre stata limitata dalla scarsità di dati diretti e dalla complessità dell’ecosistema marino profondo. Le basse temperature, la pressione estrema e l’assenza di luce solare creano un ambiente ostile dove i processi biologici si basano su fonti di energia chimica e su delicati equilibri tra nutrienti.

Ora diventa evidente che la struttura della rete trofica abissale è più articolata di quanto si pensasse. Gli eterotrofi, spesso ritenuti semplici “consumatori terminali”, svolgono un ruolo attivo nella ricostruzione della biomassa e nella riciclazione del carbonio.

Oceano profondo come regolatore climatico globale

Il ruolo del mare profondo come pozzo di carbonio (carbon sink) è ben noto: attraverso processi biologici e fisico-chimici, una parte significativa della CO₂ atmosferica viene trasferita verso gli strati profondi degli oceani, dove può restare isolata per secoli.

Capire chi fissa quel carbonio e come lo fa è fondamentale per:

  • Prevedere gli effetti del cambiamento climatico;
  • Valutare l’efficacia degli oceani come sistemi di mitigazione naturale del carbonio;
  • Modellare scenari futuri nel contesto di riscaldamento globale e acidificazione oceanica.

Interazioni con altri cicli biogeochimici

Il carbonio non è l’unico elemento in gioco. Lo studio apre la strada a una nuova linea di ricerca sulle interazioni tra i cicli di carbonio, azoto, ferro e rame nei mari profondi. Elementi come ferro e rame, infatti, sono cofattori enzimatici cruciali per molte delle reazioni biochimiche implicate nella fissazione del carbonio.

Inoltre, è necessario comprendere come questi microrganismi rilascino i composti organici nel loro ambiente, e in quale misura tali sostanze vengano utilizzate dal resto della catena trofica.

Verso una nuova ecologia microbica degli abissi

Le implicazioni della scoperta sono molteplici e di ampio respiro. Non si tratta solo di ridefinire i bilanci di carbonio, ma di ripensare l’ecologia microbica dell’oceano profondo. Per la comunità scientifica, si apre una nuova stagione di esplorazione biologica e biochimica.

I prossimi obiettivi del team di Santoro includono:

  • Tracciare il destino del carbonio fissato all’interno della rete alimentare profonda;
  • Identificare i composti organici intermedi e il loro ruolo nel metabolismo collettivo della comunità;
  • Comprendere le dinamiche di trasferimento trofico e le implicazioni per la produttività degli ecosistemi profondi.

La scoperta che i microrganismi eterotrofi svolgano un ruolo centrale nella fissazione del carbonio nel mare profondo rappresenta una svolta epocale per la biologia marina e la scienza climatica. Mette in discussione i paradigmi precedenti, ridefinisce il funzionamento delle reti ecologiche oceaniche e offre nuovi strumenti per modellare il ciclo globale del carbonio.

Il mare profondo, da sempre considerato una frontiera remota e inaccessibile, si conferma come uno dei principali regolatori del clima terrestre, e i suoi abitanti microscopici come protagonisti silenziosi ma determinanti dell’equilibrio planetario.