Oceani aperti sotto nuova legge: via al trattato BBNJ, ma resta il nodo dei conflitti

Oceani aperti sotto nuova legge: via al trattato BBNJ, ma resta il nodo dei conflitti

Un nuovo trattato delle Nazioni Unite mira a proteggere gli oceani, ma potrebbe portare a nuovi conflitti internazionali.

Due terzi degli oceani del mondo si trovano al di fuori dei confini nazionali, un’area non regolamentata che è sempre più sotto pressione a causa dell’estrazione mineraria, della pesca e del cambiamento climatico. Ora, un nuovo trattato delle Nazioni Unite promette di cambiare questa situazione, ma potrebbe anche provocare nuovi conflitti su chi controlla gli oceani aperti.

Il trattato sugli alti mari, formalmente noto come Accordo BBNJ, è diventato legge internazionale dopo che il Marocco è diventato il 60° paese a ratificarlo. Questo porterà il trattato a entrare in vigore nel gennaio 2026, aprendo una nuova era di governance oceanica.

Al centro del trattato c’è un piano per creare aree protette negli alti mari, simili ai parchi nazionali sulla terraferma. L’obiettivo è proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, un traguardo concordato nell’ambito del quadro globale per la biodiversità dell’ONU.

Solo i paesi che firmano e ratificano il trattato saranno vincolati dalle sue regole, con alcune eccezioni. Quelli che rimangono fuori dall’accordo, come Cina o Stati Uniti, non dovranno seguire il trattato, ma perderanno la possibilità di influenzare il sistema multilaterale di governance oceanica. Potrebbero agire unilateralmente, ma altri stati potrebbero sfidarli ai sensi della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Regolamentazioni e risorse genetiche

Il nuovotrattato stabilisce processi molto dettagliati, soglie e altri requisiti per le valutazioni di impatto ambientale delle attività che potrebbero danneggiare gli alti mari. I paesi possono aspettarsi più regolamentazioni per le attività, specialmente quelle offshore, nelle loro acque se potrebbero causare danni oltre i loro confini marittimi.

Gli alti mari sono una grande fonte di risorse genetiche. Significa qualsiasi pianta, animale o microbo che potrebbe portare a nuovi medicinali, colture o materiali industriali. Il trattato stabilisce regole per la condivisione sia dei materiali che delle informazioni scientifiche potenzialmente lucrative che generano, affinché anche i paesi più poveri possano beneficiare delle scoperte fatte in queste acque.

Conflitti tra estrazione mineraria e conservazione

La conservazione non è l’unica attività sugli alti mari. Le compagnie minerarie sono desiderose di estrarre minerali come nichel, cobalto o rame dal fondo marino profondo, spesso nelle stesse aree dove si trovano ecosistemi fragili e risorse genetiche preziose.

L’estrazione mineraria in acque profonde è già regolamentata dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini, un organismo specializzato istituito da una convenzione delle Nazioni Unite che ha già concesso molti contratti di esplorazione e sta ora redigendo nuove regole per l’estrazione commerciale.

I due regimi, il trattato sugli alti mari e l’autorità dei fondali marini, competono e confliggono tra loro. Proteggere la vita marina potrebbe limitare significativamente (se non proibire) l’estrazione mineraria in acque profonde, e viceversa. Non è ancora chiaro come il nuovo trattato risolverà questo potenziale conflitto.

Prima che il trattato entri in vigore nel 2026, i paesi che lo hanno firmato e ratificato si incontreranno di nuovo per concordare i dettagli: come verranno scelte le aree protette, come verranno condivise le risorse genetiche e come gestire i conflitti con attività come la pesca e l’estrazione mineraria.