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Scoperta nel Mar Glaciale Artico: batteri sotto il ghiaccio alimentano la vita marina

Una scoperta che arriva dalle acque più fredde del pianeta potrebbe riscrivere il modo in cui comprendiamo la vita negli oceani.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenhagen, insieme a colleghi di diversi centri internazionali, ha individuato nel Mar Glaciale Artico una sorprendente attività biologica: batteri capaci di “fissare” l’azoto sotto il ghiaccio, alimentando indirettamente la catena alimentare marina. Il risultato, pubblicato nel 2025 e riportato dal portale ufficiale science.ku.dk, mostra che anche nelle condizioni più estreme la natura trova nuovi modi per mantenere la vita.

Fino a oggi, gli scienziati ritenevano che il processo di fissazione dell’azoto — cioè la trasformazione dell’azoto atmosferico in composti nutrienti — fosse limitato alle acque tropicali o temperate. Ma i ricercatori hanno dimostrato che, anche sotto la crosta di ghiaccio artico, alcuni microrganismi riescono a compiere questa conversione, fornendo nutrienti vitali per le alghe e il plancton, la base di tutta la vita marina.

Il team ha effettuato misurazioni in tredici diverse aree del Mar Artico, a bordo delle navi di ricerca RV Polarstern e IB Oden, trovando tracce significative di attività microbica in prossimità del margine del ghiaccio. È proprio lì, dove il ghiaccio si scioglie e si riforma, che i batteri sembrano prosperare di più. Un fenomeno inedito, che suggerisce come il ghiaccio artico non sia affatto un deserto biologico, ma piuttosto un ecosistema nascosto, pulsante e dinamico.

La scoperta non si limita a un dettaglio accademico: secondo gli esperti, la quantità di azoto disponibile in queste acque potrebbe essere molto più alta del previsto, il che significherebbe un potenziale incremento della produzione primaria, con effetti diretti sull’intera rete trofica. Più nutrienti, più alghe, più vita.

Un equilibrio fragile tra ghiaccio, luce e nutrienti

La scoperta pone però un interrogativo affascinante: quanto il cambiamento climatico potrà amplificare o alterare questo meccanismo naturale? Lo scioglimento del ghiaccio marino, infatti, aumenta la luce che penetra nell’acqua e favorisce la crescita delle alghe, ma modifica anche la salinità e la stabilità delle acque superficiali. Gli scienziati ipotizzano che l’aumento delle aree di fusione possa creare nuove “zone calde” biologiche, dove la fissazione dell’azoto diventa più intensa.

Il paradosso è evidente: un processo legato a un fenomeno distruttivo — la perdita del ghiaccio artico — potrebbe, nel breve periodo, nutrire la vita. Tuttavia, la bilancia è delicata: se la fusione procede troppo rapidamente, la stabilità dell’ecosistema rischia di spezzarsi, compromettendo anche il ciclo di nutrienti che oggi sostiene questo fragile equilibrio.

Batteri trovati sotto il ghiaccio, ecco cosa succede (Freepik Foto) – www.marinecue.it

Batteri invisibili, impatto globale

I protagonisti di questa scoperta non sono i classici cianobatteri noti nelle acque tropicali, ma batteri non fotosintetici, capaci di utilizzare composti organici disciolti e restituire azoto in forma utile agli altri organismi. Un metabolismo efficiente, invisibile, ma potenzialmente decisivo per la biogeochimica dell’oceano artico.

Il loro ruolo va ben oltre la sopravvivenza locale. Con più azoto disponibile, aumenta la crescita delle microalghe, e con essa la capacità dell’oceano di assorbire anidride carbonica. In pratica, questi batteri potrebbero contribuire indirettamente anche al ciclo del carbonio globale, trasformandosi in un anello mancante del grande meccanismo climatico terrestre. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno spesso descritto l’Artico come un laboratorio naturale del cambiamento. Ora, con questa scoperta, si aggiunge un tassello fondamentale: il ghiaccio non è solo una barriera, ma anche un catalizzatore di vita. Il prossimo passo della ricerca sarà capire quanto sia diffuso il fenomeno e come varia nel corso delle stagioni artiche. Se verrà confermato su scala più ampia, potremmo trovarci di fronte a una delle scoperte più significative dell’ecologia marina degli ultimi decenni — un messaggio di resilienza che arriva dalle profondità del freddo.

Sveva Di Palma

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