Stiamo distruggendo tutti gli ecosistemi | Ora tocca ai polpi: minaccia globale dagli allevamenti

Diciamo basta!

Ecosistemi marini in via di distruzione (Canva) - marinecue.it

Gli allevamenti intensivi, si configurano come una delle minacce globali più pericolose e assurde di questo secolo. Ed è ora di dire basta!

Gli allevamenti intensivi, pongono animali come polli, maiali e bovini (e non solo) in condizioni estremamente restrittive. A causa di spazi ridotti, mancanza di libertà di movimento, e di pratiche appunto di allevamento industriale, i quali compromettono seriamente la salute e il benessere delle specie coinvolte. Cagionandogli stress, malattie, e comportamenti anomali.

Ma oltre al lato etico, gli allevamenti intensivi contribuiscono in modo piuttosto significativo all’inquinamento ambientale. Ed emissioni di gas serra, gestione dei rifiuti, e contaminazione delle acque, son solo alcuni degli effetti negativi che derivano da queste pratiche (attuate su larga scala).

Non a caso, le condizioni sovraffollate, favoriscono la diffusione di malattie, e la necessità di antibiotici, aumentando perciò il rischio di resistenze batteriche e di contaminazioni alimentari, che possono colpire direttamente l’uomo.

Quindi, possiamo dire che ridurre il consumo di prodotti provenienti da allevamenti intensivi, e preferire sistemi di allevamento biologici o a conduzione più naturale, rappresenta una scelta del tutto responsabile. Poiché, in questo modo, si tutela il benessere animale, la salute ambientale, e quella umana, promuovendo un futuro magari sostenibile.

L’allarme dell’acquacoltura carnivora

Un nuovo report, pubblicato da Compassion in World Farming (meglio conosciuta come CIWF), evidenzia i rischi legati all’allevamento intensivo, di specie carnivore come i polpi. E secondo lo studio “The Growing Threat of Carnivorous Aquaculture”, espandere l’acquacoltura a queste specie, minaccia ecosistemi marini, benessere animale, e sicurezza alimentare globale. A tal punto che, come riportato sul sito greenme.it, la pratica, già attiva a Gran Canaria con l’azienda spagnola “Nueva Pescanova”, richiede enormi quantità di pesci selvatici per alimentare i polpi, aggravando la pressione sugli stock ittici, e smentendo l’idea di un allevamento “sostenibile”.

Il primo allevamento di polpi, nello specifico, consuma 28 mila tonnellate di pesci all’anno, per produrre invece, solo 3 mila tonnellate di carne. Ed entro il 2040, il fabbisogno potrebbe addirittura arrivare a 7 miliardi di pesci. Per questo, siffatto approccio si configura, non solo come un vero rischio per gli ecosistemi, ma anche perché intensifica la pesca di specie già sovrasfruttate; generando quindi un circolo vizioso, che aumenta sostanzialmente, la domanda di mangimi a base di pesce.

Una mattanza
Allevamenti di polpi (Canva) – marinecue.it

Impatto su comunità e ambiente

L’espansione di questi allevamenti, quindi, sottrae risorse vitali alle comunità costiere di Africa occidentale, Sud America e Sud-est asiatico; provocando insicurezza alimentare e indebolimento degli ecosistemi marini. Motivo per cui, la crescita prevista dell’acquacoltura carnivora nell’UE, entro il 2040, potrebbe aumentare la pesca di pesci selvatici del 70%, con gravi conseguenze per l’ambiente e la giustizia alimentare.

Pertanto, CIWF ha diffuso video sotto copertura, che mostrano metodi di macellazione lenti e dolorosi, confermando l’impossibilità di un allevamento umano dei polpi. Tanto che l’associazione invita, infatti, governi e cittadini a firmare l’impegno globale “Keep Them Wild”, per bloccare questa pratica; proteggere la biodiversità marina, e assicurare un futuro sostenibile per gli oceani.