In Calabria c’é un borgo medievale da paura | Si affaccia a picco sul mare: un tuffo nella storia

Borgo medievale di Squillace, in Calabria (Freepik Foto) - www.marinecue.it
C’è un punto della Calabria in cui la terra si piega verso il mare e il mare, come in sogno, riflette il cielo.
È qui che sorge un borgo capace di confondere i secoli: una manciata di case sospese su una rupe, un intreccio di vicoli che profumano di fichi, di sale, di memoria. Non serve un orologio per capirlo — qui il tempo non scorre, si posa.
Chi arriva lo fa quasi per caso. Una curva dopo l’altra, la collina si apre e all’improvviso il panorama ti prende in contropiede: torri antiche, finestre strette, tegole bruciate dal sole. Tutto sembra muto, ma ascoltando bene, ogni muro racconta una storia che non si è mai spenta.
È un luogo che si fa scoprire piano, come una persona schiva ma sincera. Ti segue con lo sguardo mentre ti perdi tra le sue stradine, ti offre una sedia, un odore di pane appena sfornato, un saluto che sa di epoca lontana. In un attimo capisci che non è solo un borgo — è un ricordo che si ostina a restare vivo.
E mentre il vento risale dal mare, portando con sé echi di lingue dimenticate, questo borgo ti accoglie. Non con la fretta di chi vuole farsi vedere, ma con la calma di chi sa di essere unico.
Tra mito e pietra, un’eredità che non si sbiadisce
Di Squillace si raccontano molte storie, e tutte sembrano vere. C’è quella che parla di Ulisse, approdato qui dopo la guerra di Troia; e quella che cita Cassiodoro, filosofo e politico, che tra queste colline decise di costruire un faro di sapere chiamato Vivarium. Un monastero fatto di libri e silenzio, dove il mondo antico imparò a sopravvivere copiando sé stesso, parola dopo parola, in una lingua nuova.
Ecco perché Squillace non è un paese qualsiasi: è un archivio di civiltà. Le sue pietre sono pergamene, le sue chiese custodi di un’idea di conoscenza che ancora resiste. Ogni gradino è un invito a leggere, ogni campana un richiamo a ricordare.

L’arte di resistere alla modernità
Ma non pensare a Squillace come a un museo. È viva, colorata, sorprendentemente moderna. Le ceramiche che escono dalle mani degli artigiani sembrano parlare: sono terra che ha imparato a cantare sotto il fuoco. Ogni vaso, ogni piatto, ogni anfora racconta una storia diversa — la stessa che gli antichi Greci portarono qui e che i maestri di oggi continuano a reinventare.
E poi ci sono i murales: colori che esplodono sulle pareti come nuove leggende. C’è Cassiodoro che osserva il borgo, ci sono barche che galleggiano tra i tetti, ci sono sogni dipinti accanto alle porte di legno. Tutto è arte, tutto è memoria, tutto è presente. Squillace non chiede di essere visitata. Ti chiede solo di rallentare. Di lasciarti attraversare da lei, come fa il vento quando torna al mare.