Se devi correre ogni pochi secondi dal dentista, la colpa è tutta di questo pesce | Un’eredità che arriva da 500 milioni di anni fa

Questo pesce preistorico è alla base del nostro mal di denti (Freepik Foto) - www.marinecue.it
Il mal di denti è una delle più fastidiose conseguenze della nostra evoluzione, ma scoprirne l’origine è davvero affascinante!
Ogni volta che un gelato ci fa sobbalzare o un caffè bollente ci strappa una smorfia, pensiamo subito a un problema moderno: lo smalto consumato, l’igiene orale, lo stress. Eppure la verità, come racconta Kodami (Fanpage.it) riprendendo uno studio pubblicato su Nature, è molto più antica — e sorprendente. La sensibilità dei nostri denti non è un difetto contemporaneo, ma un’eredità biologica che risale a un pesce vissuto quasi mezzo miliardo di anni fa.
In un passato remoto, quando gli oceani erano popolati da creature corazzate e prive di mascelle, i denti non servivano affatto per masticare. Erano piccoli organi sensoriali sparsi sulla pelle, simili ai dentelli dermici degli squali di oggi.
Quei minuscoli “sensori” aiutavano gli animali a percepire vibrazioni, correnti e persino la presenza di predatori. In sostanza, i primi denti erano occhi tattili che leggevano il mondo attraverso l’acqua.
Col passare dei millenni, questi recettori di sensibilità si sono trasformati in strumenti di cattura e difesa. Quando le prime mascelle cominciarono a formarsi, alcuni di quei sensori migrarono verso la bocca, dando origine ai primi veri denti. Ma non persero la loro antica funzione: mantennero la capacità di “sentire”. Ed è proprio quella sensibilità primordiale che oggi, in forme più raffinate, ci fa percepire caldo, freddo e dolore.
I primi denti non erano in bocca
Come spiega l’articolo di Kodami, a guidare questa riscoperta è la ricercatrice Yara Haridy dell’Università di Chicago. Analizzando fossili microscopici di antichi vertebrati, Haridy ha individuato nel pesce Eriptychius, vissuto circa 465 milioni di anni fa, il primo animale dotato di vere strutture dentinali. Questi odontodi, minuscoli ma complessi, contenevano dentina e terminazioni nervose: una combinazione che permetteva al pesce di “sentire” il mondo piuttosto che masticarlo.
È in questo momento dell’evoluzione che la sensibilità dei denti diventa una risorsa. Mentre altri animali sviluppavano corazze e artigli, i vertebrati primitivi costruivano la loro strategia sensoriale. Ogni piccolo impulso trasmesso da quei denti sulla pelle rappresentava un’informazione vitale per sopravvivere in un mare pieno di predatori.

Dalla pelle alla bocca: un’eredità viva
Quando i denti si sono finalmente spostati nella bocca, non hanno perso la loro natura nervosa. Al contrario, si sono evoluti in strumenti doppi: fisici e sensoriali. Masticare, sì, ma anche percepire. È la stessa sensibilità che oggi ci avverte di un’infezione, di una carie o di un trauma. In fondo, il dolore è un modo raffinato del corpo per ricordarci che siamo ancora legati al mare primordiale da cui proveniamo.
Così, ogni volta che sentiamo un brivido attraversare i denti, possiamo ringraziare (o maledire) Eriptychius: il pesce che, milioni di anni fa, ha regalato all’umanità denti capaci di provare dolore. Un dono involontario, ma essenziale, che ci collega direttamente alla lunga storia della vita sulla Terra.