Questo relitto del 1500 deve essere subito riportato in superficie | È il covo di numerose specie aliene: qui si riproducono in tranquillità

Specie aliene su un vecchio relitto (Canva) - marinecue.it
Per riportare a galla una nave affondata, sarà necessario fare delle bonifiche importanti, per eliminare le specie aliene che lo infestano.
Recuperare relitti dal fondo del mare è un’operazione complessa, e spesso impossibile, nonostante i progressi tecnologici. A causa proprio della profondità degli oceani, e della pressione estrema, i quali si configurano come ostacoli naturali, che limitano l’accesso umano diretto.
Ma oltre alla profondità, intervengono anche fattori ambientali come correnti marine, sabbia e detriti, che possono appunto seppellire (completamente) un relitto, nel corso degli anni. Anche il deterioramento dovuto a salsedine e agli organismi marini, rende fragili le strutture, aumentando quindi il rischio di frammentazioni, durante i tentativi di recupero.
Le attrezzature necessarie (per operazioni subacquee profonde), come sommergibili o robot ROV, son costose, e richiedono competenze specializzate. Sebbene, tuttavia, in molti casi i relitti son così estesi, o posizionati in modo instabile, da risultare impossibile, il poterli sollevare senza danni irreversibili.
Nondimeno, spesso intervengono anche vincoli legali e conservativi, poiché alcuni relitti hanno valore storico o culturale, e vengono considerati siti protetti, vietandone quindi l’estrazione. Così, fra limiti tecnologici, rischi ambientali e normative, recuperare i tesori sommersi resta una sfida enorme e, talvolta, impossibile.
Invasione di molluschi alieni
In tal proposito, parliamo quindi del relitto della galea di Lazise, affondata il 31 maggio 1509 dai Veneziani, durante la guerra contro la Lega di Cambrai. Oggi, è minacciato da colonie di molluschi alieni, la specie “Dreissena polymorpha“, nota come cozza zebra, e originaria del Mar Nero e del Mar Caspio, che ha colonizzato anche i resti lignei del relitto, situato a circa 450 metri, dal porto nuovo di Lazise; e a una profondità fra i 24 e i 27 metri. Intervento che mira, insomma, a proteggere e monitorare il patrimonio subacqueo, scoperto nel 1962.
Finanziato dal Ministero della Cultura, tramite la Soprintendenza di Verona, Rovigo e Vicenza, il progetto prevede diverse fasi: ovvero, che dopo immersioni propedeutiche effettuatesi a maggio, la prima operazione di bonifica si è conclusa in una settimana, nella prima metà di settembre, con sommozzatori professionisti guidati da un archeologo subacqueo. Il cui obiettivo principale è rimuovere i bivalvi che hanno colonizzato il relitto, precedendo però la documentazione foto-video, e la posa di geotessuto protettivo, sulle strutture ligne.

Monitoraggio e analisi del legno
Durante le operazioni, son stati prelevati due campioni lignei, parzialmente connessi allo scafo, proprio per analizzare il degrado del legno. Secondo Alessandro Asta, archeologo subacqueo referente del progetto, il deterioramento non sembra imputabile ai molluschi; sebbene le analisi aiuteranno, comunque, a definire le strategie più efficaci, per la tutela al lungo termine dei resti. Assicurandone, insomma, una conservazione adeguata, per studi futuri.
Come riportato anche sul sito larena.it, l’identificazione precisa dell’imbarcazione resta complessa, poiché potrebbe trattarsi di una galea, o persino di una delle fuste minori della flotta veneziana. Per questo, la scoperta di un secondo relitto auto-affondato proprio nel 1509, potrebbe fornire ulteriori indizi. Pur continuando a garantire, il progetto, protezione e studio approfondito del sito storico, per le generazioni future.