Attraversare l’Atlantico può essere pericoloso, ancor più farlo in auto | Un’avventura dimenticata che fu un successo tutto italiano

Il leggendario viaggio in auto attraverso gli oceani (Facebook Autonauti Foto) - www.marinecue.it
Ci sono storie che sembrano uscite da un film d’avventura.
Eppure, spesso le storie appartengono alla vita vera. Alcune finiscono sui giornali per qualche giorno, per poi scivolare nell’oblio della memoria collettiva.
Tra queste c’è un’impresa che mescola follia, coraggio e amore familiare: la traversata dell’Atlantico non su una barca, ma a bordo di due automobili trasformate in improbabili imbarcazioni.
Una vicenda che ci riporta alla fine degli anni Novanta, quando internet era ancora agli inizi e le imprese estreme non venivano condivise in tempo reale sui social. Qui c’era solo il mare, l’oceano infinito e la forza della determinazione.
E, soprattutto, c’era un sogno più grande di qualsiasi tempesta: quello di un padre che i figli decisero di trasformare in realtà, anche a costo di rischiare tutto.
Il sogno del padre, la sfida dei figli
Come ricorda Geopop, tutto nacque da Giorgio Amoretti, fotoreporter visionario che già nel 1978 aveva tentato la traversata con un Maggiolino Volkswagen riempito di polistirolo. Fermato dalle autorità, dovette rinunciare. Anni dopo, colpito da una grave malattia, lasciò quel sogno incompiuto ai suoi tre figli: Marco, Mauro e Fabio.
Fu allora che, insieme all’amico Marcolino De Candia, i ragazzi decisero di provarci davvero. Prepararono due auto galleggianti – una Passat dell’87 e una Taunus dell’81 – riempite di poliuretano, con vele di fortuna, pannelli solari e zattere di salvataggio. Il 4 maggio 1999 partirono dalle Canarie, senza proclami né sponsor, solo con la voglia di portare a termine un’avventura impossibile.

Un oceano di silenzi e tempeste
Ben presto l’oceano mostrò la sua durezza: correnti avverse, telefoni satellitari che si scaricavano, automobili che imbarcavano acqua e tempeste pronte a piegare ogni entusiasmo. Dopo pochi giorni due dei fratelli si arresero, mentre Marco e Marcolino continuarono da soli.
La traversata durò 119 giorni. Lungo la rotta incontrarono un uragano che miracolosamente li risparmiò, una petroliera che regalò loro acqua e viveri, e infiniti giorni di silenzi in cui il mare sembrava inghiottire ogni certezza. Nel frattempo, a terra, Giorgio moriva: la famiglia scelse di non dirlo subito, per non spezzare il coraggio dei due ragazzi ancora in mare. Il 31 agosto 1999 Marco Amoretti e Marcolino De Candia approdarono in Martinica. Ad accoglierli c’erano giornalisti increduli, familiari commossi e un’emozione che sembrava destinata a rimanere nella storia. Eppure la memoria collettiva fu breve: senza sponsor, senza record ufficiali e senza i riflettori della comunicazione globale, la loro impresa fu presto dimenticata. Rimase però ciò che davvero contava: il gesto d’amore verso un padre visionario e la prova che anche le idee più folli possono diventare possibili. Un’avventura così non è solo cronaca: è ispirazione. È un invito a credere che i sogni – anche i più improbabili – abbiano bisogno di coraggio, di resilienza e di un pizzico di follia per trasformarsi in realtà. Come scrive Geopop, non fu una gara né un record, ma un atto di libertà.