Ultim’ora, non bisogna mangiare più nemmeno i pesci | Noi avveleniamo loro, loro avvelenano noi: troppo inquinamento

Illustrazione di un mare inquinato (canva FOTO) - marinecue.it
Il continuo inquinamento del mare non è per niente salutare, soprattutto se si mangia pesce. La situazione è sempre più critica!
Il consumo di pesce è da sempre una parte importante dell’alimentazione umana, apprezzato per il suo sapore e per l’alto valore nutrizionale. Ricco di proteine di qualità, vitamine e sali minerali, offre benefici che lo rendono un alimento chiave in molte tradizioni culinarie.
Uno dei suoi punti di forza sono gli acidi grassi omega-3, utili per cuore e cervello, oltre a iodio, selenio e vitamina D. Per questo molte linee guida nutrizionali consigliano di inserirlo regolarmente nella dieta, alternando specie diverse.
Il mercato del pesce però deve fare i conti con la sostenibilità. La pesca eccessiva e le pratiche non controllate mettono a rischio gli ecosistemi marini, spingendo verso metodi più responsabili come l’acquacoltura certificata e la scelta di specie non sovrasfruttate.
Anche la qualità è importante: preferire pesce fresco, ben conservato e proveniente da filiere tracciabili riduce rischi legati a contaminanti come mercurio o microplastiche. Così il pesce può rimanere un alleato prezioso per la salute e per l’ambiente.
Un allarme che arriva dall’acqua
Negli ultimi mesi il tema dei PFAS è tornato al centro dell’attenzione. Si tratta di sostanze chimiche persistenti, capaci di resistere per decenni nell’ambiente, e il problema è che non restano solo nei fiumi o nei suoli: entrano nella catena alimentare. Proprio qui scatta l’allarme, perché i pesci che finiscono sulle tavole potrebbero già essere contaminati senza che l’aspetto o l’odore ne tradiscano la presenza. È una di quelle situazioni in cui la natura sembra silenziosa, ma in realtà custodisce un rischio concreto.
Il quadro che emerge dai campionamenti non riguarda solo qualche zona isolata, ma tocca diversi tratti di mare e di fiume. In Italia, e in particolare nel Veneto, i controlli hanno messo in luce concentrazioni che superano di molto i limiti considerati sicuri. Una realtà che sorprende, perché i corsi d’acqua appaiono spesso limpidi e tranquilli, mentre sotto la superficie si accumulano residui invisibili.

Dati, responsabilità e conseguenze
Come riportato da Ecoblog, nel canale Fossa Monselesana, tra Padova e la laguna di Venezia, le analisi hanno trovato picchi di 69,1 microgrammi di PFOS per chilo, quasi 900 volte oltre la soglia proposta dall’Unione Europea. Valori fuori norma sono stati riscontrati anche nel Delta del Po, nel mantovano e lungo il fiume Secchia, dove ogni campione ha superato il limite di 77 nanogrammi per chilo considerato sicuro.
La questione non si ferma ai confini italiani. Altri Paesi, come Svezia, Francia, Spagna e Austria, segnalano situazioni simili, seppure con differenze di intensità. E mentre l’Unione Europea impone il monitoraggio solo di alcune molecole, la famiglia dei PFAS comprende più di 10.000 composti, di cui almeno 24 già classificati ad alto rischio. Alcuni governi, inoltre, spingono per rinviare le nuove restrizioni fino al 2039, dilatando i tempi di protezione della salute pubblica.