Questo alimento è stato ed è ancora la salvezza dei marinai | Senza questo, continuerebbero a morire come mosche: ne bastano poche gocce

Illustrazione di alcuni marinai (Canva FOTO) - marinecue.it (1)

Illustrazione di alcuni marinai (Canva FOTO) - marinecue.it (1)

I marinai la consumavano tempo fa, e se vogliamo la utilizziamo anche oggi. E’ una vera e propria salvezza questo alimento.

La vita a bordo di una nave non offriva certo banchetti sontuosi. I marinai dovevano arrangiarsi con cibi semplici, pensati per durare settimane o mesi, spesso in condizioni estreme. La priorità era garantire calorie e conservazione, più che gusto e freschezza.

Il pane era la base di ogni pasto, ma non quello soffice che conosciamo oggi: si trattava di gallette dure come pietre, capaci di resistere alla muffa e al tempo. A completare la dieta c’erano salumi e soprattutto carne salata, immersa in barili di salamoia per restare commestibile durante le lunghe traversate.

Per bere, l’acqua dolce era preziosa e limitata. Spesso si preferiva birra o vino, che si conservavano meglio e fornivano qualche nutriente in più. Quando possibile, frutta secca, legumi e formaggi stagionati arricchivano il menù, ma restavano una rarità.

Nonostante l’ingegno, le carenze vitaminiche erano comuni: lo scorbuto, dovuto alla mancanza di vitamina C, mieteva vittime fino a quando agrumi e verdure conservate non entrarono stabilmente nella cambusa. Una dieta di pura sopravvivenza, che racconta la durezza delle antiche rotte oceaniche.

Viaggi senza certezze

Le grandi traversate oceaniche del Settecento erano un’avventura logorante e piena di imprevisti. Non bastavano le tempeste o l’incontro con navi nemiche a spaventare gli equipaggi: il vero pericolo spesso restava invisibile fino all’ultimo. Una malattia subdola, capace di minare le forze giorno dopo giorno, si nascondeva dietro l’apparente normalità della vita di bordo.

Scorbuto era il nome che i marinai sussurravano con timore. Non c’erano cure affidabili, solo rimedi empirici che raramente funzionavano. Il viaggio di George Anson tra il 1740 e il 1744, per esempio, come riportato da Science History Institute, mostra con crudezza questa realtà. Su oltre duemila uomini partiti, solo poche centinaia tornarono. Le tempeste intorno a Capo Horn furono terribili, ma fu la carenza di vitamina C a fare le perdite più pesanti, lasciando gli uomini stremati e incapaci perfino di seppellire i compagni.

Illustrazione di frutta contenente la vitamina C (Canva FOTO) - marinecue.it
Illustrazione di frutta contenente la vitamina C (Canva FOTO) – marinecue.it

Un vero alimento salvavita

Come riportato da Science History Institute, la vita alimentare a bordo di una nave di quel periodo non somigliava affatto a un banchetto. La dieta si basava su gallette spesse e durissime, carne salata e legumi secchi: cibi pensati per durare mesi ma poveri di sostanze vitali. Quando la carenza di vitamina C faceva cedere il corpo, non restava che sperare in qualche porto ricco di verdure selvatiche o pesce fresco.

Già nel Cinquecento alcuni esploratori, come i marinai della Anson, avevano intuito che frutti e foglie fresche erano una protezione. Il medico scozzese James Lind dimostrò nel 1747 che agrumi e limoni erano risolutivi e solo alla fine del Settecento la Royal Navy rese obbligatorio il succo di limone, assicurando ai suoi marinai una difesa stabile contro lo scorbuto.