Illustrazione di A23a (MODIS Land Rapid Response Team, NASA GSFC FOTO) - marinecue.it
La regina degli iceberg perde la corona: A23a nel cuore dell’Atlantico Sud sta collassando, e non è una notizia molto confortante.
Per oltre quarant’anni A23a è stata considerata una sorta di icona del mondo glaciale, un blocco di ghiaccio che per decenni ha troneggiato nel Weddell Sea. Ma qualcosa, negli ultimi mesi, si è spezzato. Letteralmente. Secondo i ricercatori del British Antarctic Survey (BAS), dalla scorsa primavera australe questo colosso ha perso circa l’80 % della sua massa, passando da 1.418 a soli 656 miglia quadrate in appena otto mesi.
La storia di A23a è già di per sé incredibile. Nato nel 1986 dal distacco della piattaforma di Filchner-Ronne, nell’Antartide, il “megaberg” rimase inchiodato al fondale del Mare di Weddell per più di trent’anni. Un gigante apparentemente immobile che, però, nel 2020 ha iniziato a muoversi, probabilmente perché il ghiaccio che lo teneva ancorato si era sciolto. Da allora il suo viaggio è stato tutt’altro che lineare, con una lunga sosta in una sorta di “trappola” oceanica chiamata Taylor column e una ripartenza fulminea nel dicembre 2024 verso l’isola di South Georgia.
Ed è proprio lì che il destino del “regno” di A23a ha preso una svolta inaspettata. Intrappolato nella corrente circumpolare antartica meridionale (SACCF), che scorre in senso antiorario attorno all’isola, l’iceberg ha iniziato a disfarsi rapidamente. Migliaia di frammenti minuscoli si sono staccati nei primi mesi del 2025, seguiti da blocchi così grandi da essere catalogati come iceberg a sé stanti dal National Ice Center statunitense.
Oggi A23a non è più il più grande iceberg del pianeta. Quel primato è passato a D15a, un colosso di circa 3.000 chilometri quadrati vicino alla base australiana Davis. A23a resta comunque il secondo nella classifica globale, ma per poco: se continuerà a frantumarsi a questo ritmo, tra poche settimane scivolerà ulteriormente in basso, fino a diventare troppo piccolo persino per essere monitorato.
La cronologia di A23a è un vero racconto di resistenza e mutamento. Dopo il distacco dalla piattaforma Filchner-Ronne nel 1986, l’iceberg si è arenato sul fondale marino e lì è rimasto per più di trent’anni, una sorta di cittadella congelata. La sua liberazione nel 2020 è stata probabilmente favorita dal progressivo scioglimento della base, ma il movimento è durato poco: una montagna sottomarina lo ha intrappolato in un vortice stabile, la cosiddetta Taylor column. Solo nel dicembre 2024 è riuscito a liberarsi, puntando verso l’isola di South Georgia.
Da quel momento, le forze oceaniche hanno preso il sopravvento. Trascinato dalla potente Southern Antarctic Circumpolar Current Front (SACCF), A23a ha cominciato a ruotare attorno all’isola e a sgretolarsi. Andrew Meijers, oceanografo del BAS, ha spiegato sul canale della CNN, come riportato da Live Science, che la stessa corrente aveva già “colpito” iceberg celebri come A68 e A76, ma A23a ha resistito più a lungo. La sua rotta ora sembra orientata a nord-est, ma la massa residua si riduce di giorno in giorno, e i frammenti continuano a staccarsi con un ritmo che rende difficile persino il tracciamento satellitare.
Il crollo di A23a non è solo una curiosità geografica: racconta molto delle trasformazioni in atto nell’Antartide. La regione è estremamente vulnerabile al riscaldamento globale, e la frequenza degli iceberg giganti che si avvicinano alle isole subantartiche potrebbe aumentare in futuro. Secondo il BAS, non ci sono dati sufficienti per dire se i megaberg diventeranno più comuni, ma il numero di distacchi dalle piattaforme glaciali è già in crescita. Studi recenti, come quello pubblicato su Nature Geoscience (Lucas et al., 2025), mostrano che lo scioglimento di iceberg di queste dimensioni può alterare la stratificazione degli oceani, influenzare la circolazione delle correnti e perfino incidere sulla produttività biologica e sull’assorbimento di carbonio atmosferico.
Quando giganti come A23a rilasciano acqua dolce e sedimenti ricchi di nutrienti, si innescano turbolenze che modificano lo scambio tra acque superficiali e profonde, con conseguenze difficili da prevedere. In questo senso, la parabola della “regina degli iceberg” è anche un avvertimento. Il suo lento disfacimento non è solo la fine spettacolare di un gigante di ghiaccio, ma un indizio tangibile di un clima che cambia e di oceani che reagiscono in modi complessi.
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