Scoperta spagnola in Sicilia | Un enorme carico di anfore pieno di unguenti miracolosi: ancora intatti

Anfore antiche in mare (Depositphotos foto) - www.marinecue.it
Un ritrovamento eccezionale in Sicilia riporta alla luce antichi aromi e segreti fenici custoditi per millenni.
Il Mediterraneo non smette mai di sorprenderci: è come una miniera inesauribile di storie, rotte e scambi che ancora oggi riescono a lasciarci a bocca aperta. Stavolta tocca di nuovo alla Sicilia, che, a quanto pare, non ha ancora finito di raccontare il suo passato.
È curioso come certe scoperte arrivino quando meno te l’aspetti. In un momento in cui si parla sempre di futuro, tecnologie, IA e tutto il resto, ecco che affiora un reperto che profuma – letteralmente – di antichità. Oggetti piccoli, dimenticati, spesso ignorati, che invece custodiscono storie antiche quanto il mondo. E non si tratta solo di storia, ma di memorie sensoriali, profumi che attraversano i secoli.
C’è qualcosa di affascinante nell’idea che una fragranza possa unire luoghi distanti e popoli diversi. Profumi che evocano casa, identità, riti. Già, perché questi unguenti antichi non erano solo roba da ricchi o da cerimonie, ma veri e propri legami emotivi con le origini. Resine, oli, essenze: strumenti di viaggio interiore, oltre che commerciale.
E poi c’è un altro aspetto che colpisce. Il fatto che università europee si muovano fino alle isole più remote della Sicilia per scavare, analizzare, interpretare… dice molto sul valore di certi luoghi. Non si tratta solo di riportare in superficie qualche vaso rotto, ma di capire il perché, il come, il per chi. Scavare nella terra, in fondo, è un modo per scavare anche nel tempo.
Tra relitti, tombe e storie dimenticate
Negli ultimi anni Mozia – un pezzetto di terra al largo della costa ovest della Sicilia – è diventata un punto di riferimento per chi studia i fenici. Proprio qui, un team dell’Università Complutense di Madrid insieme a quella di Tubinga, ha fatto centro. Hanno messo insieme archeologia, chimica, geologia e via dicendo, per analizzare un bottino davvero particolare.
Parliamo di 51 anforette minuscole, alte nemmeno 20 cm, risalenti a un periodo che va dall’VIII al VI secolo a.C. Alcune erano finite dentro tombe, altre – incredibile – nei relitti di navi affondate. Grazie a tecniche super avanzate, i ricercatori sono riusciti a capire da dove arrivava la ceramica, e soprattutto cosa c’era dentro. E qui viene il bello.

Quando un profumo racconta una civiltà
All’interno di otto di queste bottigliette – scelte per l’analisi – sono stati trovati resti di resine e lipidi vegetali. Roba come lentisco, pino, sostanze aromatiche… tutti ingredienti usati da millenni per fare unguenti. Per la pelle, per i morti, per i riti. E il bello è che gran parte di questi componenti sono tipici della zona del Libano, patria dei fenici, ancora oggi piena di conifere (tipo il famoso cedro che c’è anche sulla loro bandiera, tra l’altro).
Secondo gli studiosi, questi oli non erano solo profumini da esportazione, ma veri e propri “ponti emotivi” con la terra d’origine. Una volta arrivati nelle colonie, i mercanti aprivano una di queste boccette e… puff, un attimo ed erano di nuovo a casa. Il tutto è stato raccontato in uno studio pubblicato sul Journal of Archaeological Method and Theory e ripreso anche da Balarm.it. Una scoperta che va oltre l’archeologia: è un viaggio nel tempo, nei sensi e nella memoria.