Illustrazione del Mar Rosso (Canva FOTO) - marinecue.it
Il Mar Rosso è nato grazie ad un sistema geologico complesso. Tra gli elementi studiati ci sono il magma e la crosta terrestre.
Quando un continente si “spezza”, non succede mai di colpo. Ci sono forze lente e invisibili che lavorano per milioni di anni, e il magma è uno degli attori principali di questa storia. Il Mar Rosso, dove l’Arabia si allontana man mano dalla Nubia, è un laboratorio naturale per capire come la Terra trasforma i margini continentali in futuro fondale oceanico. Qui, nel cuore del processo, si trova il complesso magmatico di Tihama Asir, una zona che racconta molto delle fasi iniziali della rottura continentale.
L’idea è che queste regioni siano modellate non solo dalle spinte tettoniche, ma anche dalla “mano calda” del mantello che sale. Nel caso del Mar Rosso, la spinta arriva anche da un antico colpo di calore: il pennacchio dell’Afar, che circa 34 milioni di anni fa ha scaldato e indebolito la litosfera. E proprio lì, nel Tihama Asir, si sono formati gabbri e dicchi basaltici, materiali che hanno registrato nella loro chimica il passaggio di queste forze.
Già le prime analisi rivelano una storia complessa: fusioni dell’astenosfera che, salendo, hanno assimilato frammenti di crosta continentale antica, senza però mescolarsi troppo con il mantello litosferico. Un dettaglio che fa pensare a un’ascesa rapida del magma, con poche “pause” nelle camere magmatiche più alte. E in mezzo a questo processo, il sottile gioco di forze tra la distensione delle placche e l’aggiunta di nuovo materiale magmatico.
Il quadro che emerge è quello di una rift valley che non si è aperta in fretta verso l’oceano, ma che ha allungato la sua fase di “gestazione” grazie a un massiccio intrappolamento di magma alla base della crosta. Una sorta di paradosso: mentre la crosta si assottigliava, il magma la ispessiva di nuovo. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.
Il Tihama Asir, situato a est della pianura costiera di Jizan nel sud-ovest dell’Arabia Saudita, è un mosaico di corpi gabbroici stratificati, dicchi basaltici e intrusioni granitiche. Questi gabbri mostrano stratificazioni metriche o decametriche e passano da litologie primitive, ricche di olivina, a forme più evolute, come i gabbri ossidici. Le intrusioni hanno età comprese tra 26 e 21 milioni di anni, quindi si collocano nelle primissime fasi di apertura del Mar Rosso.
La geochimica racconta che i magmi originari erano di tipo tolelitico, simili ai basalti delle dorsali medio-oceaniche (MORB), ma si sono progressivamente arricchiti di altri elementi e terre rare leggere, segno di contaminazione crostale. I dicchi che attraversano i gabbri, in alcuni casi, conservano composizioni molto vicine a quelle ipotizzate per il mantello dell’area Afar, confermando l’origine astenosferica. Tuttavia, nel passaggio verso la crosta superiore, parte di questo magma ha incorporato materiali del basamento pan-africano, modificando la sua “firma” isotopica.
Secondo i dati isotopici e i modelli di assimilazione-cristallizzazione (Nature Communications, 2025), il magma in questa fase si comportava in modo duplice. Nella parte inferiore della crosta, fusioni derivate dall’astenosfera si accumulavano come intrusioni massicce (underplating), arricchendo e ispessendo di nuovo la crosta. Questo processo assorbiva parte dell’energia che altrimenti avrebbe accelerato la frattura completa del continente. Nei livelli più alti, invece, i dicchi basaltici subivano contaminazioni maggiori, incorporando frammenti della crosta superiore e producendo firme geochimiche più variabili.
I dati geofisici confermano questa lettura: anomalie di gravità Bouguer positive, alte velocità sismiche nella crosta inferiore e magnetismo residuo elevato suggeriscono una base crostale “rinforzata” da grandi quantità di magma. Ecco perché la trasformazione in crosta oceanica è avvenuta con calma: il rifting è durato circa 15–20 milioni di anni prima che si sviluppasse una dorsale oceanica stabile. Un’evoluzione che ricorda quella della depressione di Afar e di certi tratti dell’Atlantico settentrionale, dove grandi volumi di magma hanno prima consolidato e solo dopo aperto definitivamente il margine continentale.
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