Nel Mediterraneo compaiono isole di plastica e qui accade l’impensabile | Tutta depositata sui fondali: a rischio gli organismi

Plastica nel Mediterraneo (Canva foto) - www.marinecue.it
Milioni di tonnellate scomparse dagli oceani non sono mai arrivate a riva: una nuova scoperta cambia tutto.
Il Mediterraneo, come altri mari del pianeta, ospita sulla sua superficie vere e proprie isole galleggianti di plastica, composte da detriti accumulati nel tempo. Queste masse artificiali, che si estendono per chilometri, sono visibili anche dallo spazio e rappresentano uno degli esempi più drammatici dell’inquinamento moderno. Tuttavia, ciò che emerge con sempre maggiore forza è che queste isole non raccontano l’intera storia.
Nonostante le dimensioni imponenti e la visibilità mediatica di questi accumuli, una parte consistente della plastica scomparsa negli ultimi decenni continua a sfuggire al controllo degli scienziati. I ricercatori si trovano di fronte a un mistero sempre più preoccupante: dove si trova il resto di quella plastica che non galleggia, non affiora e non viene raccolta? Questa domanda ha spinto la comunità scientifica a spingersi oltre i metodi tradizionali di monitoraggio ambientale.
Le ipotesi si sono moltiplicate negli anni. Alcuni studi avevano già dimostrato la presenza di microplastiche in organismi viventi, inclusi quelli umani. Campioni di sangue, tessuti cerebrali e perfino polmoni hanno rivelato tracce di polimeri sintetici. Ma il dato più sconcertante è che questi ritrovamenti non coprono minimamente la quantità globale dispersa nell’ambiente. Serve un’altra spiegazione.
Per cercare una risposta, un gruppo di ricercatori europei ha avviato un progetto di rilevamento delle cosiddette “plastiche perdute”. Lo scopo era identificare dove si nascondessero le tonnellate di materiali mancanti dalle stime ufficiali.
Uno studio inaspettato apre nuove domande
Come riporta Everyeye, gli scienziati hanno recentemente scoperto oltre 27 milioni di tonnellate di nanoplastiche nel cuore dell’Oceano Atlantico settentrionale. Si tratta di frammenti inferiori a un micrometro che non formano isole galleggianti, ma rimangono sospesi nella colonna d’acqua o si depositano gradualmente sul fondale. Questo dato ridefinisce completamente la mappa dell’inquinamento marino.
I ricercatori hanno chiarito che le nanoplastiche rappresentano ormai la frazione dominante dell’inquinamento da plastica negli oceani. La loro natura le rende invisibili all’occhio umano, ma non per questo innocue. Anzi, la loro capacità di penetrare in ogni tipo di organismo e ambiente le rende un rischio sistemico per la vita marina e terrestre.

Sul fondo del mare una minaccia silenziosa
La scoperta di queste particelle ha fatto luce su ciò che il titolo suggeriva: gran parte della plastica dispersa si è depositata sui fondali oceanici. Non visibile, non raccolta, ma tutt’altro che inerte. È lì che organismi bentonici e altre forme di vita sottomarina entrano in contatto diretto con un materiale tossico, il cui impatto a lungo termine è ancora sconosciuto.
Secondo gli esperti, il processo di frammentazione è ormai fuori controllo. Onde, vento, luce solare e reazioni chimiche scompongono costantemente oggetti in plastica, generando nuove particelle ogni giorno. Questo ciclo inarrestabile rischia di trasformare il nostro pianeta in un sistema chiuso di contaminazione continua, in cui la plastica non scompare, ma cambia solo forma.