Energia solare dagli abissi marini | Hanno scoperto un materiale che trasforma la luce a 50 metri di profondità

Illustrazione di un fondale (canva FOTO) - marinecue.it
Gli abissi marini possono essere sfruttati per produrre energia, soprattutto grazie ad un particolare materiale.
Il mare non è solo un immenso serbatoio d’acqua, ma anche una straordinaria fonte di energia. Le sue onde, le maree, le correnti e perfino la differenza di temperatura tra le acque profonde e quelle superficiali possono essere sfruttate per produrre elettricità.
Esistono diverse tecnologie che cercano di trasformare questa energia naturale in qualcosa di utile. Alcune usano il moto ondoso, altre il flusso regolare delle maree, e altre ancora si basano sulle variazioni di pressione o temperatura.
Il principio è semplice: convertire il movimento dell’acqua in energia meccanica e poi in elettricità. Il vantaggio? È un’energia pulita, rinnovabile e molto stabile, soprattutto in zone costiere ben studiate.
Investire in questo tipo di energia significa anche proteggere il clima. Le tecnologie marine, se ben gestite, possono ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e rispettare l’equilibrio degli ecosistemi.
Il mare come non lo si era mai pensato
Che il mare nascondesse energie straordinarie non è una novità, ma l’idea che possa diventare una centrale solare… beh, questo è davvero sorprendente. Eppure, grazie a uno studio italiano, come riportato da Repubblica, ora si sa che le celle solari a perovskite riescono a funzionare anche sott’acqua. A profondità come 50 metri, dove la luce comincia a farsi rarefatta, queste celle continuano a produrre energia. E non poca, a dirla tutta. Anzi, in certi casi lavorano addirittura meglio che all’aperto.
Il merito sarebbe dell’ambiente marino stesso, che agisce come un refrigerante naturale e mantiene il dispositivo a una temperatura più costante. Un dettaglio niente affatto secondario, perché si traduce in più efficienza e prestazioni stabili. Insomma, non solo è possibile generare elettricità sott’acqua, ma può persino convenire.

Una tecnologia particolare
Come riportato da Repubblica, a rendere possibile tutto questo è stato il lavoro congiunto del CNR, in particolare gli istituti Ism e Ipcf, con l’Università di Roma Tor Vergata e l’azienda BeDimensional. Le celle in questione sono realizzate in perovskite di formula FaPbBr₃, incapsulate in materiali polimerici idrofobici che le proteggono dall’acqua. Dopo dieci giorni immerse nel mare, il rilascio di piombo è risultato praticamente nullo. Una notizia importante, perché rassicura su uno dei principali timori: la sicurezza ambientale.
Tra le applicazioni già ipotizzate, spuntano scenari affascinanti: sensori marini alimentati autonomamente, ricariche per veicoli subacquei o persino serre sommerse. Certo, ci sono ancora degli ostacoli, come la crescita di alghe sulle superfici o la durata nel tempo dei materiali, ma la direzione è tracciata.