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Nanoplastiche ovunque negli oceani: scoperti 27 milioni di tonnellate nel Nord Atlantico

Purtroppo le nanoplastiche sono ovunque, soprattutto negli oceani. E la situazione non è da sottovalutare.

Negli ultimi anni si parla spesso dell’inquinamento da plastica nei mari, con immagini ormai tristemente comuni: uccelli soffocati da anelli di plastica, bottiglie galleggianti tra le onde, tartarughe impigliate. Ma oltre ai rifiuti visibili, esiste un nemico ancora più insidioso e invisibile: le nanoplastiche. Si tratta di frammenti minuscoli, più piccoli di un capello umano, che si nascondono ovunque, dalla cima delle montagne fino ai tessuti del nostro corpo. Uno studio pubblicato su Nature ha fatto luce su quanto siano diffusi e pericolosi, specie negli oceani.

I ricercatori hanno trovato questi frammenti quasi impercettibili a diverse profondità dell’Atlantico settentrionale. In media, la concentrazione rilevata è di circa 18 milligrammi per metro cubo, che su scala oceanica si traduce in qualcosa come 27 milioni di tonnellate nella sola fascia superficiale dell’Atlantico temperato-subtropicale. Sono numeri che fanno impressione, considerando che le stime globali precedenti parlavano di “appena” 3 milioni di tonnellate di plastica galleggiante, escludendole nanoplastiche.

Ma che cos’è esattamente una nanoplastica e perché fa così paura? La differenza con le microplastiche è “sottile” ma cruciale: parliamo di particelle sotto il micrometro di diametro, così piccole da comportarsi in modo totalmente diverso. Invece di affondare o restare in superficie, si muovono casualmente, sospinte dal moto browniano e dalle collisioni con le molecole d’acqua. Questa mobilità le rende ubiquitarie e difficili da tracciare, oltre che capaci di penetrare nelle cellule viventi.

Per individuarle, il team è salito a bordo della nave da ricerca Pelagia nel novembre 2020. Hanno raccolto campioni da 12 siti in tre ambienti diversi: la zona di ricircolo subtropicale, il mare aperto e le acque costiere europee. Da ciascun punto sono stati prelevati campioni a tre profondità: 10 metri, 1.000 metri e 30 metri sopra il fondale. La tecnica utilizzata si chiama spettrometria di massa con trasferimento protonico da desorbimento termico, un metodo sofisticato che consente di identificare anche minuscole tracce di plastica.

Qualche informazione in più

Nel cuore dello studio c’è un dato curioso: la plastica più diffusa negli oceani, il polietilene (PE), non è stata rilevata. Una vera anomalia. E’ probabile che questi frammenti si trasformino rapidamente o si depositino sul fondale. Questo suggerisce che il ciclo del PE nell’oceano segue percorsi insoliti, forse degradandosi più in fretta di quanto si pensasse, o sedimentando molto rapidamente.

Ciò che rende davvero preoccupanti le nanoplastiche è la loro capacità di infiltrarsi nella base stessa della catena alimentare marina. Possono attraversare le pareti cellulari, finendo nelle cellule del fitoplancton, che rappresenta il primo anello del sistema alimentare oceanico. Una volta lì, possono essere ingeriti da organismi più grandi, salendo nella catena trofica e potenzialmente finendo anche nei piatti.

Illustrazione di alcune microplastiche (Canva FOTO) – marinecue.it

Una situazione da non sottovalutare

Gli effetti sulla salute umana non sono ancora del tutto chiari, ma la presenza dei nanoplastici è stata già riscontrata in tessuti umani, tra cui cervello e placenta. A rendere tutto più complicato è il fatto che, a causa delle dimensioni ridottissime, questi frammenti sono estremamente difficili da campionare e analizzare. Ecco perché finora non erano stati inclusi nei bilanci globali della plastica marina.

Come si legge nello studio, la concentrazione di PET, PS e PVC nei vari strati d’acqua va da 1,5 a 32 mg/m³, con livelli più alti vicino alle coste europee e nella zona del vortice subtropicale dell’Atlantico. I livelli più bassi, circa 5,5 mg/m³, sono stati rilevati vicino al fondale e composti soprattutto da PET. Questi numeri indicano che le nanoplastiche potrebbero superare le quantità di micro e macroplastiche galleggianti stimate in tutto l’oceano.

Mattia Paparo

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