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Una missione nel Mare della Groenlandia per capire se la “corrente del clima” è vicina al collasso

Una spedizione a nord nel Mare della Groenlandia per scoprire se l’oceano Atlantico sta davvero cambiando rotta.

Laggiù, dove il ghiaccio si spacca con un suono secco e il silenzio sembra quasi surreale, c’è una nave che va avanti piano. Si chiama Kronprins Haakon e si fa largo tra i blocchi gelati del Mare della Groenlandia, in pieno inverno artico. Il sole? Non si vede da settimane. Eppure, dentro quella solitudine glaciale, c’è fermento. Scienziati, droni, sensori. Tutti impegnati a decifrare cosa sta succedendo sotto la superficie ghiacciata.

A prima vista sembra tutto immobile, ma sotto il ghiaccio il mare ribolle — o meglio, si muove e cambia, lentamente. Lì sotto, l’oceano cede calore all’aria gelida sopra di sé. Un processo essenziale, anche se poco visibile, per il funzionamento di uno dei motori climatici della Terra: la circolazione atlantica, che trasporta acqua calda dai tropici verso nord e fredda verso sud. Questo meccanismo aiuta a regolare il clima globale, anche quello europeo.

La corrente — il nome preciso è AMOC, che sta per Atlantic Meridional Overturning Circulation, lo so, è un po’ un nome da manuale — funziona tipo nastro trasportatore. In superficie porta acqua calda e salata verso nord. Quando arriva su, quella stessa acqua si raffredda, diventa più pesante e affonda, cominciando il viaggio di ritorno nelle profondità oceaniche. E così, tra una discesa e una risalita, questa “corrente del clima” influenza temperature, piogge, perfino la quantità di ossigeno nel mare profondo.

Il punto è che, con il riscaldamento globale, qualcosa si sta inceppando. Il ghiaccio della Groenlandia si scioglie, il mare si addolcisce, la densità dell’acqua in superficie cala… e l’intero sistema rischia di rallentare. Alcuni modelli dicono che potremmo raggiungere un punto critico già entro questo secolo. Altri sono più cauti. Ma tutti concordano su una cosa: se l’AMOC crolla, le conseguenze sarebbero serie. Anzi, devastanti.

Una spedizione artica alla ricerca di indizi nascosti

Per questo, a febbraio, un gruppo di ricercatori si è imbarcato sulla Kronprins Haakon per una missione chiamata ROVER, finanziata dall’Unione Europea. Come riporta Nature, abordo, tra gli altri, c’era Alexandra Stephens, dottoranda dell’Università di Toronto, che pilotava un drone per cercare calore disperso nell’atmosfera polare. E poi Kjetil Våge, oceanografo norvegese, a capo della spedizione. Tutti erano lì per capire se — e come — il sistema stia cambiando.

Una delle aree più interessanti era la Corrente della Groenlandia Orientale, che trasporta acque dense e salate verso sud. Questo flusso è fondamentale per alimentare il ramo profondo dell’AMOC. Ma negli ultimi anni, con il ghiaccio invernale in ritirata, l’oceano in quella zona è rimasto più esposto all’aria fredda. Il risultato? Più perdita di calore, più acqua che affonda. Un possibile colpo di scena.

Ghiacciai in Groenlandia (Depositphotos foto) – www.marinecue.it

Una dinamica che potrebbe riscrivere i pronostici

Secondo Våge, queste perdite di calore invernali potrebbero favorire la formazione di acque profonde proprio lì dove pensavamo che l’AMOC fosse più fragile. A bordo hanno usato una rosetta CTD — un coso pieno di bottiglie e sensori, diciamo — per raccogliere campioni fino a oltre 2000 metri. E i dati sono chiari: c’è uno strato relativamente caldo e salato, segno che il ciclo continua.

Questa corrente, che ritorna verso sud dopo aver fatto il giro nel nord Atlantico o dentro l’Artico, potrebbe quindi aiutare a tenere in piedi l’intero sistema. Non si parla di salvezza, ma… forse non tutto è perduto. Anzi, Våge dice che potremmo aver sottovalutato la resilienza dell’AMOC. C’è ancora tanto da capire, ovvio. Però i dati raccolti con la ROVER ci dicono una cosa: il cuore dell’oceano batte ancora.

Furio Lucchesi

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