Spiagge, più sono bianche e più sono da evitare | Se ti fai il bagno qui metti a rischio la tua salute

Illustrazione di una spiaggia bianca (Canva FOTO) - marinecue.it
Le spiagge bianche sono bellissime e diffusissime, eppure possono nascondere alcune insidie ed essere pericolose.
Le spiagge bianche si distinguono per la sabbia chiarissima, quasi abbagliante, che crea un contrasto spettacolare con il mare turchese. Questo tipo di sabbia è spesso composto da quarzo finissimo, coralli frantumati o gusci di organismi marini, che riflettono più luce solare.
Queste spiagge non sono rare solo per il colore, ma anche per la loro origine geologica. In luoghi come le Bahamas o le Maldive, la sabbia bianca è il risultato di millenni di erosione di coralli e conchiglie. In altri casi, come a Whitehaven Beach in Australia, è composta quasi interamente da silice pura.
Dal punto di vista ambientale, le spiagge bianche sono ecosistemi delicati. L’erosione, il turismo e i cambiamenti climatici possono alterare l’equilibrio naturale e compromettere la qualità della sabbia e dell’acqua.
Infine, il loro fascino ha un forte impatto economico: attirano milioni di turisti e sono spesso protagoniste di spot pubblicitari e film. Ma proprio per questo è fondamentale proteggerle, evitando comportamenti che ne accelerino il degrado.
Un paradiso…apparente
Chi vede le immagini delle “spiagge bianche” di Rosignano Solvay, in Toscana, potrebbe tranquillamente scambiarle per qualche isola tropicale dispersa nel Pacifico. Acqua trasparente, sabbia chiarissima… un sogno, all’apparenza. Ma quel biancore così perfetto non è affatto naturale. Non c’entra nulla con coralli sbriciolati o sedimenti quarzosi: è frutto di un lungo processo industriale che, nel tempo, ha modificato completamente il paesaggio. Un po’ come truccare la natura con una mano pesante di fondotinta.
A renderle così brillanti è una sostanza chiamata carbonato di sodio, insieme ad altri composti chimici che provengono dagli scarichi di una fabbrica attiva nella zona fin dai primi del Novecento. Per decenni, infatti, la Solvay, una multinazionale belga specializzata in chimica, ha riversato nel mare grandi quantità di residui provenienti dai processi di produzione del bicarbonato (Fonte: Melodicamente). E così, ciò che oggi sembra una spiaggia caraibica è in realtà un paesaggio artificiale, costruito poco a poco dallo smaltimento di sostanze industriali.

Un rischio tangibile
Come riportato da Melodicamente, lo stabilimento Solvay dagli anni ’10 del Novecento produce soda caustica, bicarbonato e altri derivati. Queste sostanze, insieme a residui come metalli pesanti e microplastiche, vengono convogliate in mare attraverso canali di scarico. Il mare è invitante, la sabbia sembra pulita… e invece l’acqua può risultare torbida, con una specie di patina oleosa che si deposita sulla pelle.
Alcuni studi hanno evidenziato la presenza di composti potenzialmente tossici, tra cui solventi organici e tracce di mercurio e arsenico (fonte: Melodicamente). Nonostante ciò, l’ARPAT (l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) continua a classificare quell’area come “idonea alla balneazione”, ma solo sulla base di parametri microbiologici.