ULTIM’ORA, lo scioglimento dei ghiacciai risveglia incubi terrificanti | Prepararsi a una nuova pandemia: virus mai visto

Illustrazione dello scioglimento dei ghiacci (Pexels FOTO) - marinecue.it

Illustrazione dello scioglimento dei ghiacci (Pexels FOTO) - marinecue.it

Purtroppo la situazione sta diventando sempre più critica, e non si tratta solo di perdita di biodiversità o di ghiacci.

Lo scioglimento dei ghiacci è uno dei segnali più chiari del cambiamento climatico. Quando le temperature si alzano troppo, i ghiacciai cominciano a ritirarsi, a perdere pezzi, a diventare sempre più sottili. Succede nelle montagne, ma soprattutto ai poli, dove il fenomeno è diventato velocissimo.

Una delle conseguenze più evidenti è l’innalzamento del livello del mare. Più ghiaccio si scioglie, più acqua finisce negli oceani. E questo, alla lunga, mette a rischio città costiere, isole basse e interi ecosistemi marini. Non è qualcosa di “lontano”: sta già accadendo.

Ma non si parla solo di mari. In tanti posti, specialmente in zone montane, i ghiacciai sono come riserve d’acqua: alimentano fiumi, irrigano campi, servono per la produzione di energia. Quando si sciolgono troppo in fretta o spariscono del tutto, il rischio è rimanere senz’acqua nei momenti in cui servirebbe di più.

È un problema enorme, e risolverlo non è semplice. Ma una cosa è certa: serve agire. Ridurre le emissioni, cambiare abitudini, e iniziare a pensare sul serio a quanto contano quei pezzi di ghiaccio lontani, che però ci riguardano da vicino.

Ghiaccio che si scioglie…e non solo!

Quando si parla di scioglimento dei ghiacci, di solito si pensa agli orsi polari in difficoltà o al livello del mare che sale. Ma c’è un lato più inquietante: con il disgelo, soprattutto quello del permafrost, rischiano di risvegliarsi dei virus antichissimi. Tipo quelli che sono rimasti congelati per decine di migliaia di anni. Sì, proprio quelli.

Li chiamano “virus zombie”, e no, non è solo un nome da film. Sono microrganismi congelati nei ghiacci siberiani da ere intere, che adesso, col caldo che aumenta, potrebbero tornare in circolazione. Un gruppo di ricercatori francesi, per esempio, è riuscito a rianimare un virus vecchio di 48.500 anni, il Pandoravirus yedoma.

Illustrazione di un virus (Pexels FOTO) - marinecue.it
Illustrazione di un virus (Pexels FOTO) – marinecue.it

Un monitoraggio continuo

Come riportato da tecnologia.libero.it, la questione vera non è tanto il virus in sé, ma il fatto che il sistema immunitario umano non ha mai visto roba del genere. Zero anticorpi pronti, nessun vaccino già pronto all’uso.

Se per caso uno di questi patogeni dovesse “funzionare” anche su esseri umani, il rischio di un’epidemia nuova di zecca non è poi così assurdo. E, come se non bastasse, il permafrost potrebbe rilasciare pure batteri super resistenti agli antibiotici. Proprio per questo, gli esperti insistono sulla necessità di monitorare le zone artiche e subartiche.