Microplastiche, la stiamo combinando davvero grossa | Sono dovunque in mare, anche sui fondali: gli ecosistemi sono a rischio

Uno studio sconvolgente (canva.com) - www.marinecue.it
Uno studio sulle microplastiche genera grande preoccupazione per l’alterazione degli equilibri naturali e la salvezza dei fondali marini.
La nostra presenza sulla Terra si misura anche attraverso le tracce che lasciamo, in quanto destinate a perdurare ben oltre la nostra esistenza.
Queste tracce si possono trovare nei luoghi più remoti, al di sotto delle superfici incontaminate, nei cieli e nei mari. Possono diffondersi a macchia d’olio, nelle aree più disparate.
Si tratta di un inquinamento subdolo, la cui gravità non emerge immediatamente, ma che agisce nel tempo, infiltrandosi nelle dinamiche biologiche e trasformando gli ecosistemi.
Purtroppo, la tecnologia, suppostamente all’avanguardia, è spesso in ritardo nell’affrontare il problema. E solo ora stiamo iniziando a discernere ciò che accade al di sotto della superficie.
L’eredità delle microplastiche
Uno degli esempi più significativi di questa eredità silenziosa è rappresentato dalle microplastiche. Fino a poco tempo fa, si pensava che il loro impatto fosse relegato alla superficie degli oceani. Gli studi si concentravano principalmente sui primi 50 centimetri d’acqua, ignorando le profondità. Tuttavia, una recente ricerca condotta dalla Florida Atlantic University e pubblicata sulla rivista Nature (riportata da HD Green), offre una nuova e radicale prospettiva. Grazie a una mappatura dettagliata effettuata in quasi duemila punti del globo dal 2014 al 2024, è emerso che le microplastiche non si limitano alla superficie, ma raggiungono anche livelli abissali.
Lo studio ha constatato che le microplastiche più piccole, con diametri inferiori a 100 micrometri, sono in grado di penetrare fino a 2. 000 metri di profondità. Al contrario, le particelle più grandi tendono a rimanere intrappolate in superficie, specialmente all’interno dei gyres, enormi vortici oceanici che fungevano da trappole galleggianti. Tuttavia, è sul fondo marino che il fenomeno appare più inquietante: in alcune aree, le microplastiche rappresentano fino al 5% delle particelle di carbonio presenti, rispetto allo 0,1% rilevato in superficie.

I tipi di rifiuti
Questo spostamento verticale delle microplastiche influisce direttamente sul ciclo del carbonio, un meccanismo fondamentale per la regolazione del clima globale. Riporta HD Green che, durante l’indagine, sono stati identificati 56 diversi tipi di plastica, predominando i frammenti provenienti da bottiglie e attrezzi da pesca, che si deteriorano lentamente e persistono per decenni. I polimeri più leggeri, come il polipropilene, tendono a degradarsi prima e risultano perciò meno presenti in mare aperto, ma non sono meno dannosi.
Nonostante ciò, a detta di HD, rimangono numerose lacune. Le tecniche di campionamento non sono ancora uniformi e la copertura geografica delle rilevazioni è tutt’altro che esaustiva. È per questo motivo che i ricercatori sollecitano una risposta coordinata e globale: c’è bisogno di strumenti più precisi e di una collaborazione internazionale solida, in grado di fornire dati affidabili.