Placodermi: scoperto il primo cuore fossile tridimensionale e le tracce più antiche di guaina mielinica

Illustrazione di un cranio di Dunkleosteus (Wikipedia James St. John FOTO) - www.marinecue.it
Questi antichi pesci sono straordinari, e presentano tante caratteristiche interessanti, anche dal punto di vista fossile.
I placodermi. Magari il nome non dice molto, ma ti assicuro che questi pesci preistorici avevano un sacco di cose interessanti da raccontare. Erano una classe di vertebrati estinti, vissuti circa tra 400 e 370 milioni di anni fa, e per capirci: sembravano un incrocio tra uno squalo e un’armatura medievale. Sì, perché la loro testa era letteralmente corazzata.
Oltre ad avere un look davvero da film fantasy, sono stati tra i primi vertebrati a sfoggiare mandibole articolate. Non le usavano per masticare, ma per afferrare le prede al volo. Immagina: bocca spalancata, vortice d’acqua, e via, il pranzo è servito. Uno stile di caccia che oggi ci ricorda un po’ quello di alcuni squali.
E non finisce qui. Questi “pesci corazzati” sono un vero e proprio forziere di informazioni paleobiologiche. Dai denti primordiali (detti gnatali) alle strategie riproduttive fossilizzate, passando per adattamenti ecologici davvero ingegnosi. Alcuni avevano perfino perso la corazza per adattarsi meglio ai loro ambienti. Insomma, un gruppo tutt’altro che monotono.
E proprio da uno di questi pescioloni arriva una notizia interessantissima: il ritrovamento del primo cuore fossilizzato in 3D. Ma non solo. C’erano anche fegato, intestino e stomaco, tutti lì, conservati in modo eccezionale. Una rarità assoluta, resa possibile grazie a uno di quei luoghi magici chiamati lagerstätte, dove anche i tessuti molli riescono a sopravvivere al tempo, sotto forma di roccia.
Un cuore antico e tridimensionale
Il cuore ritrovato, e parliamo di circa 380 milioni di anni fa, mica ieri, apparteneva a un placoderma del gruppo degli Arthrodira. E la cosa che ha fatto sgranare gli occhi agli scienziati è che si trattava di un cuore fossilizzato in tre dimensioni. Schiacciato, sì, ma ben conservato e con una forma a “S” piuttosto marcata. E non era un caso isolato: accanto al cuore c’erano anche lo stomaco, con pareti spesse, e un fegato bilobato. Un pacchetto anatomico completo! Ora, perché ci interessa tutto questo? Perché la posizione del cuore, separato dagli altri organi e disposto in quel modo, suggerisce qualcosa di grosso: la presenza di un “collo” o comunque di una struttura che permettesse di muovere la testa.
E questo significa che l’evoluzione di un capo mobile potrebbe essere avvenuta molto prima di quanto pensassimo. Insomma, questi placodermi ci stanno riscrivendo la timeline dell’anatomia vertebrata. Se ci pensi, già trovare un osso fossilizzato è una fortuna, ma riuscire a studiare organi molli è davvero roba da jackpot scientifico. E grazie a questi ritrovamenti possiamo fare ipotesi sempre più precise su come vivevano, si muovevano e si evolsero i nostri lontani antenati acquatici.

Nervi fossili e la prima “apparizione” della guaina mielinica
Come se non bastasse, qualche tempo fa è emersa un’altra scoperta che forse è passata un po’ in sordina, ma che merita attenzione: le primissime tracce fossili di guaina mielinica (Trinajstic et al., 2007). Sì, quella struttura che oggi ricopre molti dei nostri neuroni e che serve a far viaggiare gli impulsi nervosi a tutta velocità. E indovina? Anche qui, i protagonisti sono ancora una volta i placodermi.
Ci sono ottime ragioni per credere che questi pesci fossero tra i primi vertebrati a “mielinizzarsi”. Le loro strutture mandibolari, che, come dicevamo, funzionavano tipo una cerniera tra la testa e il torace, erano così complesse che dovevano essere controllate con estrema rapidità. E questo tipo di precisione richiede… esatto, una bella guaina mielinica attorno agli assoni. Nei fossili più ben conservati, sono state osservate tracce dei nervi cranici, con forami ben visibili che attraversavano il cranio.