Come i cavi sottomarini possono aiutarci a monitorare il cambiamento climatico

I cavi sottomarini possono fare molto di più che portarci internet: potrebbero aiutarci a capire come sta cambiando il clima.

Sotto l’oceano, dove il sole non arriva e la pressione è da far venire il mal di testa solo a pensarci, c’è un groviglio di cavi che tiene in piedi il mondo digitale. Nessuno ci fa caso, ma senza quei tubicini (grandi poco più di un tubo da giardino), niente videochiamate, niente messaggi, niente streaming. Però adesso stanno venendo fuori usi nuovi, inaspettati. Tipo… capire cosa sta succedendo davvero ai nostri oceani. E forse anche al clima.

Questi cavi attraversano mari e continenti, con una lunghezza totale che supera 1,4 milioni di chilometri — sì, milioni. Fino a oggi servivano a trasportare dati a una velocità folle, roba da 300 terabit al secondo, per capirci. Ma a quanto pare, possono anche ascoltare il battito nascosto del pianeta. Non è fantascienza: c’è già chi li usa per raccogliere dati su terremoti, onde anomale, variazioni di temperatura.

Si chiamano cavi SMART — acronimo un po’ lungo che sta per “Scientific Monitoring and Reliable Telecommunications” — e sono stati pensati proprio per questo: monitorare l’ambiente. L’idea è partita da un mix di enti internazionali come l’UNESCO, l’ITU e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Questi cavi, oltre a trasportare dati, hanno dei sensori integrati che leggono tutto ciò che succede sotto l’acqua. Pressione, calore, movimenti del fondale. E no, non sono ancora molto diffusi. Purtroppo.

Ci sono problemi, ovviamente. Regolamenti vecchi, costi extra, e la paura che questi sensori vengano usati anche per fare… ehm, spionaggio. A Londra, durante un convegno, diversi esperti hanno detto che aggiungere i sensori aumenta i costi del 15%, e in cambio non c’è un guadagno diretto. I governi dovrebbero intervenire, ma la burocrazia è lenta e poco aggiornata. E quindi tutto resta un po’ fermo.

Il nuovo megaprogetto di Meta cambia le carte in tavola

Lo scorso mese, Meta ha annunciato un progetto enorme. Si chiama Waterworth e dovrebbe diventare il cavo sottomarino più lungo del mondo: 50.000 chilometri, connessi a cinque continenti. L’obiettivo ufficiale è migliorare la connessione tra Stati Uniti, Brasile, India e altri paesi. Ma sotto sotto — anzi, sotto il mare — c’è la possibilità di fare qualcosa di molto più interessante.

Alcuni esperti hanno suggerito che Waterworth, essendo diviso in più tratte, potrebbe ospitare sensori ambientali nelle zone meno “delicate” dal punto di vista geopolitico. E se i governi collaborassero un minimo, si potrebbe perfino creare una piattaforma di dati oceanici open source, accessibile a ricercatori, aziende, enti pubblici. Un archivio in tempo reale che raccoglie dati dai fondali, dai satelliti e da altre fonti.

Cavo sottomarino (INGVambiente foto) – www.marinecue.it

Dati dal fondo del mare per capire meglio il futuro

Gli scienziati lo dicono da anni: sappiamo troppo poco di cosa succede nell’oceano. Eppure lì sotto si gioca una grossa parte del cambiamento climatico. Temperature che salgono, correnti che cambiano, livelli del mare che si alzano. Con i cavi giusti, si potrebbe iniziare a raccogliere dati cruciali per prevedere disastri, modellare il futuro, prendere decisioni informate.

Alcuni paesi, tipo il Portogallo, ci stanno già provando. Nonostante le leggi complicate, stanno investendo in cavi SMART per avere dati migliori. E se anche altri seguissero l’esempio? Waterworth potrebbe diventare un modello, un’infrastruttura che non solo porta connessione veloce ma aiuta anche a tenere d’occhio la salute del pianeta. Non sarà la soluzione definitiva, ok, ma potrebbe essere un buon inizio.

Furio Lucchesi

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