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Golfo Persico: nel mare più caldo del mondo alcuni pesci si adattano al calore, ma la varietà delle specie diminuisce

Il Golfo Persico sta sperimentando una situazione abbastanza difficile. Alcuni pesci risentono tantissimo di questo cambiamento!

I cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova gli ecosistemi marini di tutto il mondo, e tra i più vulnerabili ci sono senza dubbio le barriere coralline. Questi ambienti, che ospitano una biodiversità straordinaria, stanno affrontando sfide sempre più ardue a causa dell’aumento delle temperature oceaniche. Ma c’è una luce in fondo al tunnel? Pare di sì, almeno per alcuni pesci di barriera.

Nel caldo estremo del Golfo Arabico (o Persico. E’ un po’ la situazione del Golfo del Messico/Golfo d’America), che detiene il primato di mare più caldo del pianeta, alcune specie di pesci di barriera sembrano aver sviluppato una sorprendente resistenza alle fluttuazioni termiche. Tuttavia, c’è un prezzo da pagare: la biodiversità di questi ambienti si sta riducendo, segno che non tutte le specie riescono ad adattarsi con successo.

Uno studio condotto dal Mubadala Arabian Center for Climate and Environmental Sciences (Mubadala ACCESS) presso la NYU Abu Dhabi ha analizzato questa resistenza al calore confrontando i pesci del Golfo Persico con quelli del vicino Golfo di Oman, dove le temperature sono più miti. I risultati? I pesci del Golfo Persico dimostrano una leggera maggiore tolleranza termica, ma la varietà delle specie è significativamente inferiore.

Questa scoperta solleva una domanda importante: i pesci di barriera possono adattarsi abbastanza velocemente ai cambiamenti climatici? Oppure la selezione naturale favorirà solo pochi “super-resistenti”, lasciando indietro il resto?

La resistenza termica dei pesci di barriera

Gli scienziati hanno testato una teoria chiamata “plastic floors and concrete ceilings” (letteralmente “pavimenti di plastica e soffitti di cemento”), secondo cui i pesci possono modificare i loro parametri fisiologici, come la frequenza cardiaca o il metabolismo, per adattarsi a un ambiente più caldo. Questa teoria, però, era stata sviluppata principalmente studiando pesci d’acqua fredda. Per testarla, i ricercatori hanno analizzato il metabolismo di tre specie di pesci di barriera sia nel Golfo Arabico che nel Golfo di Oman.

E il verdetto? Nessuna differenza significativa. Questo suggerisce che la teoria potrebbe non applicarsi ai pesci tropicali che devono affrontare variazioni di temperatura più drastiche. Secondo Daniel Ripley, uno degli autori dello studio, l’aumento della tolleranza termica nei pesci del Golfo Persico indica, sostanzialmente, una risposta adattativa a temperature estreme prolungate nel tempo. Ma c’è un problema: la diversità delle specie è notevolmente inferiore rispetto a quella del Golfo di Oman. Questo suggerisce che, sebbene alcuni pesci possano adattarsi, molti altri non ci riescono e rischiano l’estinzione locale.

Illustrazione di un banco di pesci (Pexels FOTO) – www.marinecue.it

Cosa significa per il futuro delle barriere coralline?

Questa ricerca evidenzia un fenomeno preoccupante. Anche se alcuni pesci riescono a sopravvivere in acque sempre più calde, molti altri non ce la fanno. Il risultato? Ecosistemi meno vari e più fragili. John Burt, coautore dello studio, mette in guardia in quanto, anche se alcune specie mostrano capacità uniche di adattamento, l’aumento delle temperature globali sta in qualche modo “setacciano” la varietà (e la variabilità) delle specie. 

Questa situazione non riguarda solo il Golfo Persico. Il fenomeno potrebbe ripetersi in altre barriere coralline del mondo, minacciate da ondate di calore sempre più frequenti e intense. Gli scienziati sottolineano la necessità di approfondire la ricerca sulla tolleranza termica dei pesci di barriera in diversi ambienti per prevedere gli effetti a lungo termine del cambiamento climatico. In conclusione, sebbene alcune specie di pesci di barriera sembrino avere un vantaggio evolutivo nel sopravvivere in acque calde, la perdita di biodiversità potrebbe avere conseguenze ecologiche devastanti. 

Mattia Paparo

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