Sviluppare la maricoltura riducendo il danno ambientale del 30,5%? Ora è possibile

Acquacoltura

Allevamento di specie marine (Depositphotos foto) - www.marinecue.it

Soddisfare l’ampia richiesta produttiva pur mantenendo standard sostenibili soddisfacenti? E’ questo il percorso inquadrato da un team di ricerca 

Quanto parliamo di maricoltura facciamo riferimento alla branca dell’acquacoltura che si concentra sull’allevamento dei frutti di mare in acqua salata. La domanda in merito sta progressivamente aumentando e al fine di soddisfare pienamente o quasi la stessa, anche la produzione deve subire un conseguente incremento.

Il ricercatore post-dottorato Deqiang Ma, presso la UM School for Environment and Sustainability ha condotto uno studio inerente la possibilità di sviluppare una maricoltura maggiormente sostenibile, a fronte di una pianificazione strategica che permetta di preservare le specie marine, pur non trascurando la necessità di produzione.

E’ per questo che lui, assieme ad un team internazionale di ricercatori, ha gettato le basi per un modello che sarà in grado di valutare l’impatto della maricoltura prendendo in esame oltre 20.000 specie faunistiche marittime. In questo modo è stato possibile definire gli attuali impatti e tracciare una linea su come gli stessi potrebbero mutare entro il 2050.

Nel corso dell’approfondimento sono stati presi in considerazione anche scenari climatici differenti, strettamente correlati all’aumento delle temperature a causa delle emissioni di gas serra, denominato RCP 4.5 E RCP 8.5.

Gli straordinari ipotetici benefici

Ma ha spiegato come la produzione di molluschi bivalvi è destinata ad aumentare di 2,36 volte, contemporaneamente ad un accrescimento pari a 1,82 volte rispetto alla produzione corrente per quanto riguarda i pesci con pinne, pur provocando una diminuzione dell’impatto globale complessivo della maricoltura addirittura fino al 30,5%. A ritagliarsi un ruolo fondamentale in questo discorso è la pianificazione strategica ed è proprio questa la posizione su cui concordano il principale autore dello studio Neil Carter e i suoi collaboratori, esperti di differenti settori.

Il team internazionale include al suo interno ricercatori provenienti dall’Università della California a Santa Barbara, dall’Università di Friburgo, dall’Università di Washington e dall’Università di Hokkaido. Il coautore dello studio Benjamin Halpern ha spiegato come la collaborazione necessaria a valutare attentamente impatto e fattori di rischio ha rappresentato una vera sfida, ma con l’esperienza accumulata nel corso della sua carriera, spiega anche che i benefici terminali di un lavoro svolto correttamente sono innegabili.

Coltivazione specie marine
Siti dove si pratica l’acquacoltura (Depositphotos foto) – www.marinecue.it

Le possibili criticità e la speranza per il futuro

Halpern spiega come la natura interdisciplinare e la capacità di concentrarsi attentamente sull’esame di ogni minimo angolo degli oceani globali rappresentano due elementi fondamentali ed assolutamente rilevanti verso i quali la comunità scientifica deve porre la propria attenzione. Il documento attualmente diffuso simboleggia un “primo tassello” verso il raggiungimento di un obiettivo d’importanza determinante, ossia quello di rendere la maricoltura maggiormente sostenibile, un progetto ambizioso il cui perfezionamento potrà avvenire unicamente integrando all’interno dello studio nuovi dati. La possibilità di praticare una maricoltura in modo più sostenibile non passa attraverso un’unica soluzione, ma pone il proprio occhio su differenti opportunità di sviluppo.

Gli svantaggi restano variabili da considerare; pensate ad esempio che la maricoltura ha generato un impatto negativo su numerosi mammiferi marini quali foche, balene e leoni marini, ed è proprio per questo che valutare preventivamente i potenziali impatti difenda fondamentale. Ma le intuizioni che ogni tassello del team è stato in grado di mettere in luce hanno dimostrato che non per forza questo processo avrà l’effetto unico di produrre disagi all’ambiente marino. Ora la palla, dice Carter, passa alle singole comunità e ai decisori politici, che dovranno interagire congiuntamente per comprendere il sistema d’implementazione più adeguato che possa permettere una riduzione dell’impatto, una tutela della biodiversità marina, senza tralasciare l’obiettivo produttivo.