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Oceano Pacifico: trovati resti di un fondale sprofondato 250 milioni di anni fa

Oceano Pacifico: scoperta straordinaria di resti di un fondale scomparso nel profondo della storia geologica della Terra.

L’Oceano Pacifico, il più vasto degli oceani, si estende per oltre 168 milioni di chilometri quadrati, ricoprendo un terzo della superficie terrestre. La sua immensità ospita una straordinaria biodiversità e comprende alcuni dei luoghi più remoti e inaccessibili del pianeta, come le Fosse delle Marianne e le isole della Polinesia. Questo oceano è anche un elemento chiave nel sistema climatico globale, influenzando i modelli meteorologici e il ciclo dell’acqua.

La tettonica a placche, il processo geologico che sottende alla dinamica della crosta terrestre, è fondamentale per comprendere la formazione e l’evoluzione dell’Oceano Pacifico. La crosta terrestre è suddivisa in grandi placche che galleggiano su un sottostante strato di roccia parzialmente fusa, il manto. Queste placche si muovono, si scontrano e si separano, dando origine a fenomeni geologici come terremoti, vulcani e la formazione di nuove terre emerse. Nel Pacifico, questo processo è particolarmente evidente lungo il “Ring of Fire”, una cintura di attività sismica e vulcanica che circonda l’oceano, segnalando l’intensa interazione delle placche tettoniche. Recenti scoperte di fondali scomparsi, come quelli riportati nella notizia, offrono preziose informazioni sulla storia della crosta terrestre e sull’evoluzione degli ecosistemi marini, risalendo a periodi remoti della storia geologica della Terra.

La scoperta dell’antico fondale marino

Un team di ricercatori dell’Università del Maryland, guidato dal geologo Jingchuan Wang, ha recentemente scoperto i resti della crosta oceanica che costituiva il fondale marino dell’Oceano Pacifico sudorientale  circa 250 milioni di anni fa. Questa porzione di crosta è sprofondata nel mantello terrestre a est della dorsale del Pacifico orientale, un’infrastruttura del fondale oceanico che separa diverse placche tettoniche.

I resti di questo antico fondale formano una vasta struttura nel mantello, a una profondità compresa tra 400 e 700 km. I ricercatori hanno identificato questa struttura analizzando la velocità delle onde sismiche che viaggiano attraverso la Terra. Questa scoperta riveste grande importanza perché ci offre nuove informazioni su come le dinamiche interne del nostro pianeta influenzino i movimenti delle placche tettoniche.

Illustrazione della tettonica nel sud del pacifico (Wang et al., 2024 FOTO) – www.marinecue.it

Significato e implicazioni della scoperta

I ricercatori hanno localizzato la struttura sepolta grazie all’imaging sismico, una tecnica geofisica che consente di ottenere immagini dettagliate dell’interno della Terra, similmente a una TAC nel corpo umano. Questa metodica si basa sull’analisi della velocità delle onde sismiche generate da terremoti o da sorgenti artificiali, che varia in base alle caratteristiche fisiche e chimiche dei materiali attraversati.

La dorsale del Pacifico orientale separa la placca pacifica da altre placche, come quella di Nazca, che attualmente sta subendo una subduzione sotto il Sud America. Proprio sotto la placca di Nazca, è stata identificata una struttura più fredda e densa, in corrispondenza della zona di transizione tra il mantello superiore e quello inferiore. Questo fenomeno ci fornisce una “impronta digitale fossilizzata” di un antico fondale marino, mostrando come le placche in subduzione nel tempo si fondano e vengono riassorbite nel mantello.

La scoperta evidenzia come la bassa velocità con cui questa porzione di crosta oceanica sta sprofondando possa indicare la presenza di una barriera nella zona di transizione del mantello, rallentando il movimento del materiale all’interno della Terra. Questo studio offre un’opportunità senza precedenti di osservare il processo di subduzione, normalmente visibile solo sulla superficie terrestre attraverso i vulcani. Secondo i ricercatori, i meccanismi identificati sotto la dorsale del Pacifico orientale potrebbero essere collegati alla rapida velocità di espansione delle placche lungo di essa. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori indagini per comprendere meglio questi legami e le dinamiche geologiche associate.

Mattia Paparo

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